O SI CAMBIA O SI MUORE, LARGO AL NUOVO CHE AVANZA

Un Paese senza credibilità è un Paese morto. Il mondo in cui viviamo è globale e ciò comporta molti vantaggi connessi principalmente allo scambio di dati, innanzitutto informazioni e notizie, in tempo reale tra tutti i soggetti interessati.
Questo comporta che si può avere facilmente ogni elemento utile riguardo a possibili interlocutori, controllare sul momento l’andamento di ogni rapporto e la situazione di ogni soggetto di interesse. Considerando poi che la “rete” tende ad amplificare ogni cosa e che ogni notizia successiva, magari positiva, non cancella quella precedente, magari negativa, ma semplicemente si aggiunge ad essa, alla fine accade che la reputazione di ogni soggetto viene ad essere condizionata da un insieme di elementi difficilmente verificabili e certamente non verificati.
Questo che è già un problema per la reputazione dei singoli individui, lo è ancor di più per le aziende e addirittura per gli Stati che vedono la loro immagine variare significativamente sulla base più spesso di notizie che non di fatti.
Come è evidente tutto ciò può comportare ripercussioni gravi sulla sfera economica di ognuno di quei soggetti. Infatti, se credo che una persona abbia una reputazione discutibile, ci penserò a lungo prima di imbarcarmi in un qualche tipo di rapporto economico, e lo stesso vale per una azienda.
È così che si determinano anche gli orientamenti economici dei mercati che penalizzano, ovvero favoriscono, un soggetto piuttosto che un altro.
Salendo di scala il medesimo discorso vale per la reputazione degli Stati che godono o patiscono delle informazioni che circolano e che possono punire ben oltre i loro demeriti, ovvero premiare oltre quanto se lo meritino.
È il caso del famigerato spread che in qualche modo dovrebbe valutare il livello complessivo di affidabilità di un Paese rispetto ad un altro e di conseguenza orientare gli investimenti. Come è oramai evidente a tutti l’andamento di questo indice è affetto assai più dalle sensazioni che non dai fatti reali, basti pensare che un anno fa quello italiano raggiungeva 225 punti quando oggi è intorno a 125; e questo senza che nei fatti vi sia stata una sostanziale modifica dei principali fondamentali economici del nostro Paese.
Inoltre, pensiamo che in questo ultimo anno nel settore energetico (tra quelli nei quali maggiormente si è investito anche dall’estero) abbiamo subito ben due interventi che hanno di fatto annullato retroattivamente dei contratti pluriennali garantiti da leggi dello Stato (!), oltre al problema che non vengono sistematicamente rispettati i termini per la definizione del quadro normativo futuro, cosa indispensabile per programmare investimenti. Dato ciò, sembra un controsenso che il nostro Governo auspichi un maggior ingresso di investitori esteri in Italia.
Infatti, a fronte di parole ed auspici condivisibili di avere maggiori capitali esteri investiti nelle nostre aziende, di fatto poche azioni sono state fatte per dare maggiori certezze agli investitori esteri.
Chiaramente sarebbe auspicabile un tale ingresso di investitori, anzi probabilmente è uno delle poche possibilità che abbiamo per far ripartire l’economia, ma senza un serio e deciso intervento sul costo del lavoro e senza i necessari interventi per dare la certezza del diritto e prospettiva di medio periodo ai potenziali investitori, quale imprenditore serio può pensare di investire capitali ingenti nel nostro Paese?
Gli unici attirati potranno essere i capitani di ventura che cercano operazioni di breve termine, di carattere finanziario e non industriale e altamente speculative. Anche l’annunciato provvedimento “Investment compact”, che potrà certamente aiutare a far arrivare investitori a guardare al nostro Paese, rischia di rimanere solo sulla carta se poi ci si rende conto che, a fronte di promesse di norme che facilitino o semplifichino l’investimento di risorse nel nostro Paese, tali promesse non vengono rispettate e in taluni casi addirittura i contratti vengono retroattivamente e unilateralmente modificati, allora difficilmente vedremo questo cambio di passo tanto importante per i conti nazionali.
È in corso, sembra sempre più evidente, un braccio di ferro tra vecchi modi di agire e di intraprendere e nuove prospettive di crescita e di modelli industriali. La rivoluzione verde è in corso e non si deve intendere certamente come quella delle tecnologie verdi ma delle idee verdi, del nuovo modo di pensare che o prevarrà, facendoci fare il necessario cambio di passo per ammodernare un Paese vecchio, incrostato da vecchi sistemi e che difende strenuamente privilegi e posizioni dominanti, oppure lentamente ci porterà ad affondare.
Questo passaggio è urgente, necessario e in ogni settore deve essere intrapreso. Soprattutto si deve mirare a tornare ad essere un Paese serio, affidabile e democratico. Serio significa che non è più tollerabile che non mantenga le promesse, affidabile vuol dire che una volta definiti gli obiettivi si predispongono gli strumenti, democratico significa che ognuno deve poter competere ad armi pari.
Tre aspetti che tutti – a parole – dicono di condividere ma che poi, quando si tratta di applicarli anche a se stessi, si ricorre a deroghe che poi diventano prassi e che stanno facendo naufragare il sistema nazionale. È in gioco il nostro futuro e ognuno deve sentirsi utile ed impegnarsi perché la ricostruzione del nostro Paese ci sia e sia fondata su nuove e più solide fondamenta.